Alcamo 2006

ALCAMO GIUSEPPE, La catechesi in Sicilia. Tra il Concilio Vaticano II e il Giubileo del 2000. Le scelte proposte dall’Ufficio Catechistico Regionale, Coop.S.Tom.-Elledici, 2006

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Collana “Convegni – Richerche – Atti” 13 – Coop.S.Tom.-Elledici, Messina-Leumann 2006 – 24×17 cm; 447 p. – € 25,00 – ISBN 88-86212-34-8

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Gli anni analizzati sono stati fecondi: ricchi di realizzazioni, di ricerche e di nuove idee, pieni di slancio e creatività. Rimane sempre un periodo di passaggio culturale con le sue ambivalenze, che portano a riconoscere che esiste una certa divaricazione tra l’assimilazione dei valori dei documenti e la fatica di una prassi lenta al cambio.

Indice

Prefazione (Giuseppe Morante)

Introduzione

Parte I: IL CONTESTO SOCIOCULTURALE E RELIGIOSO DELLA SICILIA TRA IL CONCILIO VATICANO II E IL GIUBILEO DEL 2000

Cap. 1: Le vicende politiche ed economiche della Sicilia

Cap. 2: La presenza della Chiesa nella società

Parte II: GLI EVENTI ECCLESIALI DELLA SICILIA DAL 1970 AL 2000

Cap. 3: Il rinnovamento catechistico in Sicilia a partire dal Documento di base

Cap. 4: I Convegni Ecclesiali Regionali

Cap. 5: Gli eventi e i documenti catechistici regionali

Cap. 6: Elementi per una valutazione

Postfazione (Giuseppe Savagnone)

Bibliografia

Indice dei nomi

Bissoli 2006

BISSOLI CESARE, Va’ e annuncia. Manuale di catechesi biblica, Elledici, 2006

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Agli operatori biblici che

al popolo di Dio

offrono la Parola alla sorgente

UNA GUIDA ALLA LETTURA

1. Questo testo nasce all’incrocio di tre fattori: la comunicazione della Bibbia nella prassi pastorale della Chiesa, il confronto con diversi modelli di attuazione conosciuti a livello italiano ed internazionale, la pratica della scuola, precisamente il trentennale corso di Bibbia e catechesi nel Dipartimento di pastorale giovanile e catechesi presso l’Università Salesiana di Roma. Presentiamo perciò un lavoro che aspira di caratterizzarsi per correttezza teologica-pastorale, informazione aperta ed aggiornata, servizio pratico.

2. Destinatari sono anzitutto quanti sono impegnati nell’ambito della catechetica, dai docenti agli operatori o catechisti. Ma a causa di inevitabili implicazioni per somiglianza di compiti, teniamo presenti anche gli insegnanti di religione, dove la Bibbia ha ruolo di fonte primaria, e in particolare consideriamo gli animatori biblici, ossia quanti promuovono l’incontro diretto con il Libro Sacro mediante l’ Apostolato Biblico (AB). Il concetto di catechesi biblica, come vedremo, supera la figura del catechista tradizionale del catechismo, ma certamente lo comprende al primo posto. Il manuale dunque è stato pensato in funzione della formazione degli operatori, naturalmente sempre visti all’interno del popolo di Dio, con la varietà di soggetti, adulti e minori, mirando necessariamente ai primi per aiutare meglio i secondi.[1] Vorremmo dare un aiuto dove si fa formazione ai ministeri e ai servizi pastorali, segnatamente nei seminari e istituzioni analoghe, e nei corsi di prima formazione e di aggiornamento degli operatori biblici.

3. Il primo capitolo propone il quadro di tutta l’opera. Abbiamo fatto la scelta del modello della comunicazione per impostare l’architettura del libro, che comprende quindi varie dimensioni e conseguenti competenze: teologico-ecclesiale o contestuale, esegetica, ermeneutica o di attualizzazione, didattica. Lo sviluppo delle suddette competenze, entro una cornice di ordine storico, forma la struttura del manuale e il contenuto degli otto capitoli.

4. Il manuale ha una chiara intenzione pedagogica: vuol servire chi opera nel concreto della azione pastorale. Questo ha richiesto una esposizione capace di unire insieme motivazioni di sostegno ed indicazioni per la prassi, in termini chiari e sintetici, semplificando la problematica, che è vasta e sempre presente sullo sfondo, per affrontare i nodi principali in chiave operativa. Si potrebbe dire che più che le teorie chiuse in se stesse, è stata l’attenzione all’esperienza biblica di fatto a dettare l’ordine del giorno delle cose trattate, evidentemente per ricomprenderla in modo migliore. Di qui il tentativo di una presentazione didatticamente attrezzata nel seguente modo:

  • Una struttura logica e chiara dell’insieme e di ogni capitolo.

  • Un ricorso frequente ad esemplificazioni in relazione ai diversi aspetti trattati.

  • Richiamo permanente all’incidenza operativa.

  • Maggiore sviluppo a quei punti che riteniamo più difficili o trascurati.

  • All’inevitabile apparire di punti simili(non dimentichiamo che l’unità dell’oggetto ‘Bibbia’ deve coniugarsi con la considerazione di una pluralità di aspetti e viceversa), cerchiamo di rispondere segnalando i contatti con rimandi accurati

  • Ricorso a pagine “per l’approfondimento” quando l’argomento ci sembra meritarlo, nell’ottica sempre dell’impegno pastorale, più che per una informazione dotta. Lo stesso criterio ha determinato una certa abbondanza di note.

  • Uso di caratteri minori per i punti più analitici ed esemplificativi.Impiego di schemi e grafici.

  • Bibliografia essenziale, volutamente mirata a pubblicazioni italiane (originali o tradotte), nominando alcune non italiane di particolare valore[2].

5. Aggiungo le quattro note che considero maggiormente qualificanti il volume:

  • La rilevanza data alla persona e dunque alla comunità, cui Dio rivolge la sua Parola come ad amici, giacchè, come amava dire A. Heschel, la “Bibbia è un’antropologia per Dio”. Questo a maggior ragione considerando il centro della Bibbia, il mistero dell’Incarnazione.

  • Di qui l’attenzione centrale al testo biblico, visto come il mondo delle persone con cui Dio ci mette in dialogo, senza mai staccarsi da esso per discorsi sostitutivi. La catechesi biblica si fa anzitutto con una schietta e motivata stima del Libro sacro e con il contatto diretto.

  • Incontro con la Bibbia nel contesto di fede della Chiesa, vista come persone in cammino che formano la vivente Tradizione della Parola, per avvertirne in autenticità e pienezza le risonanze e l’attualità.

  • La scelta di porre come asse metodologico non la lezione dotta, ma la lettura critica dell’esperienza reale, prospettando la forma del laboratorio come la via operativa più efficace, perché chiunque possa incontrare Dio secondo le proprie originali fattezze.

6. Il testo, che con un po’ di presunzione è chiamato ‘ manuale di catechesi biblica’ e dei cui limiti il lettore si renderà ben presto conto, compare nel quarantennio di Dei Verbum (1965-2005), documento grazie al quale assistiamo alla fioritura di tanto interesse per la Sacra Scrittura nella Chiesa in Italia, provvidenziale risorsa per il profondo rinnovamento anche catechistico cui questa è chiamata[3]. Dedichiamo il lavoro Agli operatori biblici che al popolo di Dio offrono la Parola alla sorgente. E’anche per loro merito se “in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza” (Rom 15,4).

In sintesi, queste sono i capitoli dell’opera

  1. Significato, ambito e articolazioni del tema

  2. La Bibbia nella storia della catechesi di ieri e di oggi.

  3. Fenomeno biblico e problematica biblica oggi

  4. La Bibbia come Parola di Dio. La dimensione teologico- ecclesiale.

  5. Esigenze che nascono dalla Bibbia come tale. La dimensione esegetica.

  6. Esigenze che pone il destinatario: l’uomo di oggi. La dimensione ermeneutica.

  7. Esigenze della comunicazione. La dimensione pedagogico-didattica

  8. La figura del catechista – animatore biblico

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Note

[1] Non abbiamo scelto il titolo “manuale di pastorale biblica” perché della pastorale consideriamo il momento dell’annuncio, ma da questo punto di vista vi rientra.

[2] Possiamo dire di aver consultato un po’ tutto quanto è apparso di simile al nostro lavoro, con specifico debito a tre ordini di fonti: la grande didattica biblica del mondo tedesco come fondamento scientifico, la Federazione Biblica Cattolica mondiale come scenario incomparabile di modelli, il progetto catechistico italiano, e l’Apostolato Biblico che vi è connesso, come riferimento pratico di lavoro.

[3] Cfr CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2001, n. 49.

Barghiglioni 2006

EGIDIO E MARIELLA BARGHIGLIONI – LUCIANO MEDDI, Il futuro della parrocchia. Guida alle trasformazioni necessarie, Paoline, 2006

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Molte parrocchie e molti parroci hanno messo mano a modificare la vita della loro comunità. Ne sono nate esperienze entusiasmanti. Molte comunità e operatori parrocchiali possono raccontare con gioia la fatica del rinnovamento. Molte parrocchie e parroci potrebbero raccontare, invece, storie diverse. Storie nate con buone intenzioni ma che non hanno trovato soluzione adeguata.

Perché questi tentativi non hanno avuto successo?

Che cosa non ha funzionato?

Possiamo descrivere l’obiettivo finale dell’itinerario proposto come raggiungere la capacità di comprendere il modello entro cui si vive, valutarlo alla luce delle riflessioni teologiche, individuare le linee di necessaria riprogettazione. Si riconoscono facilmente i tre passaggi fondamentali della progettazione pastorale: descrivere-comprendere, valutare, riprogettare.

Tutto nasce dalla comprensione che la Chiesa del nostro tempo é chiamata a evangelizzare con la propria vita il regno di Dio inaugurato da Gesù di Nazareth. Da questo principio ne nascono le trasformazioni necessarie.

Non sfugge a nessuno che un itinerario così impegnativo e affascinante coinvolge in prima persona il parroco, figura centrale di ogni comunità parrocchiale e, con lui, il Consiglio pastora le o Gruppo di animazione, chiamati a una intensa esperienza di comunione e animazione pastorale.

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Luciano Meddi, sacerdote della Diocesi di Roma, è docente di Catechetica nella Pontificia Università Urbaniana di Roma. Svolge attività di formazione degli operatori e collabora con numerose riviste specializzate di catechesi e pastorale. Tra le sue pubblicazioni si segnalano i volumi: Catechesi. Proposta e formazione della vita cristiana, EMP, Padova 2004; e (a cura di) Formazione e comunità cristiana. Un contributo al futuro itinerario, Urbaniana University Press, Roma 2006.

Egidio e Mariella Barghiglioni, 48 anni di matrimonio, tre figli di cui uno che ha raggiunto la casa del Padre e 3 nipoti, sono catechisti degli adulti. Da molti anni si occupano di animazione e formazione degli operatori pastorali parrocchiali.

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Il presente volume riprende le riflessioni e le sperimentazioni di un gruppo di animazione pastorale interparrocchiale, l’AESP – Associazione Ecclesiale Sviluppo della Pastorale, che si può contattare al sito www.aesp.it.

CATI 2006

CATI, La fede e la sua comunicazione. Il Vangelo, la Chiesa e la cultura, a cura di P. Ciardella e S. Maggiani, EDB, 2006

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Il Coordinamento delle Associazioni teologiche italiane (CATI), di cui fa parte anche l’AICa, ha pubblicato un volume che si presenta interessante per due motivi.

Anzitutto perché documenta il lavoro delle associazioni teologiche italiane, e “la storia dell’associazionismo teologico italiano è un evento squisitamente postconciliare” (C. Militello).

Poi perché delinea alcune prospettive interdisciplinari sul problema di «comunicare la fede» nella società contemporanea. Il tema è complesso, perché chiama in causa la dialettica tra singolo e comunità; postula il superamento dell’impianto intellettivo per coinvolgere il soggetto «totale», fatto anche di carne e di emozionalità; obbliga a interrogarsi sui modi della comunicazione e sui linguaggi, sulla liturgia/celebrazione e sulle altre espressioni della fede; mette in campo il tema della testimonianza e della morale. Così che ogni branca del sapere teologico è coinvolta.

Il volume raccoglie saggi di Gianfranco Calabrese, Giorgio Bonaccorso, Roberto Vignolo, Franco Giulio Brambilla, Paolo Carlotti, Marinella Perroni, Gianni Colzani, Agostino Montan, Tiziano Vanzetto.

Coluccia 2006

COLUCCIA FRANCESCO, Occhi, cuore e mani, Elledici, 2006

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“Guarite i malati” ha ordinato Gesù ai suoi discepoli. E per primo ne ha dato l’esempio.

Le riflessioni di questo libro sono un semplice e umile stimolo a comprendere l’importanza di assumere lo stile proprio del Maestro, il quale nel suo cammino terreno è passato sanando e beneficando tutti.

Per questo l’autore propone una vera e propria conversione pastorale che consideri le membra sofferenti non soltanto destinatarie di assistenza, ma soggetto attivo dell’unica azione della Chiesa. Ciò porterà a creare una perfetta sinergia all’interno del tessuto parrocchiale tra animatori della carità e della salute, gruppi famiglia e ministri straordinari della Comunione in modo tale che la proposta di catechesi, che viene offerta a più livelli attraverso un vero e proprio “laboratorio della fede”, incroci la vita dell’uomo così da colmare il divario esistente tra fede e vita.

Currò 2006

CURRÒ SALVATORE, Decidersi per il dono. Su una traccia biblica: Elia e la vedova di Zarepta, Pazzini, 2006

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Presentazione

Questo libro si interroga sul dono tenendo conto della riflessione attuale su questo tema e soprattutto appoggiandosi a un racconto biblico interpretato nell’ottica del dono: l’incontro a Zarepta di Sidone tra Elia, profeta di Israele, e una donna pagana (1° libro dei Re 17, 7-16). Si tenta un’originale ermeneutica. La pagina biblica è accostata come una traccia da interpretare mentre la si percorre, mentre cioè ci si coinvolge radicalmente. Emerge così che il racconto sul dono o, più profondamente, il dono del racconto può essere compreso e accolto solo nella misura in cui ci si decide per il dono.

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Indice

INTRODUZIONE

1. UN RACCONTO DI DONO E IL DONO DI UN RACCONTO

Il testo nel contesto.

Il testo e l’evento.

2. SULLA TRACCIA DI UN DONO

La chiamata-risposta.

Il dilemma dell’accoglienza: dono o non dono? mi affido o non mi affido?

Il luogo del parlare di Dio: esposizione, affidamento e parola ispirata.

3. VIVERE NEL SEGNO DEL DONO

Il primato della decisione e del rispondere.

L’accoglienza, la sincerità del sé e il riceversi in dono.

La piccola bontà che trasgredisce e compie la legge.

Tutto è dono per colui che dona.

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Dall’Introduzione dell’Autore

Sul dono si può riflettere in tanti modi e a partire da esperienze, sensazioni e prospettive diverse. Ci si può concentrare su qualche aspetto della vita, o sulla vita tutta avvertita come dono; ci si può preoccupare di mostrare dov’è il dono o cos’è dono, e lo si può fare con toni ottimistici o di delusione; si può porre l’accento primariamente sul dovere di donare o sul diritto di ricevere un dono. La nostra riflessione – dico: la nostra, nella speranza di coinvolgere anche il lettore nel cammino – si concentra sul decidersi per il dono. Alla base c’è la suggestione che, perché eventualmente si apra una dimensione di dono della vita, occorre una decisione, la decisione coraggiosa di qualcuno – di me, di te, di un soggetto – che si arrischia a donare o, più radicalmente, a donarsi. Ciò avviene in modo molto concreto, dentro una rete relazionale, di fronte a qualcuno; non tanto qualcuno scelto da me ma quel qualcuno, quell’uomo o quella donna, che ha un preciso volto e un nome proprio e che bussa alla mia porta, mettendo radicalmente in questione la mia progettualità e la mia libertà. La questione del dono è dunque, prima di tutto, la questione del mio dono all’altro; è la messa in questione di me da parte dell’altro. È la questione del coraggio che un soggetto ha o non ha di rispondere a un appello, ovvero del potere che egli ha di chiudere o aprire, per gli altri e per sé, una corrente di generosità che forse attraversa la vita. Non che il dono sia produzione di un soggetto. Il dono infatti, se è davvero dono, è dato o donato al soggetto; viene da altro. Eppure esso non si dà senza il soggetto; sopraggiunge eventualmente quando un soggetto si decide, con coraggio.

Si tratta di una piccola decisione, o forse: di una grande decisione ma nella piccola trama della vita quotidiana. Questo modo di misurare il piccolo e il grande può sorprendere. E la nostra riflessione potrebbe dare la sensazione, a chi è abituato a riflettere secondo i mega orizzonti del sociale, del mondiale e del globale, di essere troppo concentrata sul privato. Non è così. L’ottica del coraggio del dono guarda alle grandi sfide che segnano la nostra società e l’umanità attuale; guarda ai grandi processi in atto: processi di pacificazione, di democratizzazione, di promozione della giustizia internazionale, di dialogo interreligioso… Tali processi sono sentiti ormai in un orizzonte detto di globalizzazione e sono tutt’altro che privi di ambiguità; sono anche processi che rischiano di divenire impersonali e, in ogni caso, non scontatamente centrati sulla dignità dell’uomo, e soprattutto: di ogni uomo. Dire decidersi per il dono significa contestare l’ottica stessa del politico, del globale, del generale, come ottica prima o privilegiata della soluzione dei problemi. Ma è una contestazione dall’interno. Ogni processo di vera umanizzazione infatti ha certo una sua forza nella logica che lo attraversa, e in particolare nella coerenza di questa stessa logica con i principi della dignità dell’uomo o con la carta dei diritti dell’uomo; ma la sua vera risorsa di umanità non risiede nella sua buona logica ma nella bontà di singoli che pagano di persona.

La decisione per il dono orienta a tener viva la vera risorsa di umanità a cui attinge ogni società che non voglia divenire disumana; aiuta a far fronte al pericolo di ideologia, latente in ogni processo sociale, politico, religioso e culturale, pur se – e a volte proprio perché – si dice di umanizzazione. La decisione per il dono ci fa vigili soprattutto nei confronti di noi stessi; è forte infatti la tentazione del rifugio nell’universale, nelle spiegazioni razionali, nelle ragioni sociali, politiche e religiose, in cui si cerca in definitiva giustificazione al proprio diritto, alla propria libertà, alla propria visione della vita, al proprio progetto… o semplicemente al proprio. E il proprio è forse proprio la negazione del dono. Eppure la concreta esperienza di ogni giorno sembra sfidare al coraggio del dono. In qualche esperienza emerge un appello che la coscienza fatica a tacitare, pur se tante volte ci riesce; un appello che quando trova spazio sembra contestare il proprio diritto, talvolta persino il proprio diritto all’esistenza. Rispondere all’appello, e cioè trovare il coraggio di decidersi per il dono, significa forse ingresso vero nell’umano. Significa liberarsi dal rischio dei giochi ideologici della coscienza, che a volte può difendere egoismi e paure del soggetto, ponendoli sotto il manto di principi sedicenti umani. Liberarsi dal rischio? È il soggetto che si libera? La sensazione a volte è che in realtà è l’altro che libera. L’altro, da cui veniva l’appello, è avvertito misteriosamente come dono. Egli, anche senza saperlo e volerlo, mi aiuta a ritrovare me stesso, forse anche a sentire la mia vita come dono o a guardare più positivamente alla vita tutta, che mi appare improvvisamente nella luce del dono. E tutto avviene nell’ordinarietà di una relazione o, più radicalmente, nel segreto di un soggetto che può decidersi o non decidersi. E la decisione, che pure coinvolge pienamente il soggetto, si dà come risposta all’altro, ad altro; è decisione non come frutto di riflessione, ma decisione che quasi anticipa la coscienza. Decisione di coraggio. E decisione segreta: all’insaputa di tutti, nel segreto. E quanto più rimane all’insaputa degli altri, e forse anche della propria coscienza, tanto più è umana, davvero dono, davvero apertura sul dono.

Ma se la questione del dono è questione di coraggio o di una decisione quasi al di là di ogni riflettere e di ogni presa di coscienza, proporre una riflessione sul dono è contraddittorio; e ancor più contraddittorio se ha come titolo: decidersi per il dono. Il titolo evoca una decisione – che rompe col primato del pensare – ma, in quanto titolo di una riflessione sulla decisione per il dono, col suo stesso porsi smentisce il primato e della decisione e del dono. Eppure sentiamo che non ci si può rassegnare al silenzio. La decisione per il dono, che pure rompe col pensiero, ha bisogno del pensiero. Il dono, che è dono anche per il pensiero e che quindi non è alla portata del pensiero, ha bisogno però di entrare nel pensiero. È il paradosso del linguaggio, chiamato a dire l’impossibile a dirsi, chiamato a dire più di quello che può dire[1]. Eppure l’impossibilità a dire il dono è, positivamente, dono per il linguaggio: è la possibilità di un linguaggio più radicato nella responsabilità per il dono, linguaggio impregnato di decisione e di dono. È la possibilità di un linguaggio non preoccupato di precisare cos’è dono o di trovare il senso del dono all’interno di un sistema; ma un linguaggio che orienta, che si interrompe, che si sospende, che semplicemente introduce, che si lascia smentire, che rinvia ad altro da sé; linguaggio che sa farsi silenzio, ascolto, accoglienza. Ma la necessità di dire il dono viene anche forse da un dono ricevuto; è necessità di tener viva la memoria, perché il decidersi per il dono si nutre della memoria del dono. D’altra parte: l’incapacità di accoglienza dell’altro, da parte di un soggetto che si autopone rivendicando il primato della sua libertà, non è forse anche incapacità di sentirsi radicati? non è dimenticanza che la propria libertà o il proprio diritto o lo stesso porsi come soggetto è già grazie ad altro, già in seconda battuta rispetto a un già dato o un già donato?

La questione del dono è dunque anche questione di memoria. Il decidersi per il dono implica, e produce allo stesso tempo, il tener viva la memoria. È per questo che ho scelto di situare la riflessione sul dono su una memoria, su una testimonianza di dono, su un racconto di dono; o, forse dovremo dire, sul dono di un racconto. Il racconto in questione è riportato dalla Bibbia (1 Re 17, 7-16) e ci è consegnato dalla tradizione ebraico-cristiana: è l’incontro (incontro? Questa parola si rivelerà forse povera!) tra il profeta Elia e la vedova di Zarepta. Non sarà importante prima di tutto determinare cosa dice esattamente il racconto o che cosa è davvero avvenuto; e nemmeno interpretare il testo all’interno del più globale messaggio biblico o in rapporto al pensiero religioso ebraico e cristiano. Se pure queste attenzioni dovranno entrare in gioco (partiremo proprio da queste), esse dovranno pure essere sospese per lasciare spazio a ciò che è decisivo[2]. Il testo della Scrittura è una traccia di dono, porta con sé un segreto indicibile, un segreto che si presta ad una ermeneutica infinita e che ad essa allo stesso tempo resiste. È il segreto di un dono, un segreto che è dono. E l’accesso al segreto è al di là dell’ermeneutica – eppure nel cuore dell’ermeneutica – e cioè: nel segreto della decisione per il dono. Un segreto, se è davvero tale, rimane segreto. La tradizione – che pure testimonia, spiega, interpreta – nel suo significato più radicale è la consegna di un segreto[3].

Il nostro riflettere sul dono allora, consapevole di dire – e di dover dire – un segreto, dovrà rinviare incessantemente e alla memoria del dono e alla decisione per il dono. È in questo duplice rinvio che si gioca l’interpretazione della traccia, che ci accingiamo ad accostare o – dovremmo dire più esattamente – su cui poniamo i nostri passi.

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Note

[1] Che la questione del dono mette a soqquadro il linguaggio, è stato messo bene in luce da J. Derrida, soprattutto in Donare il tempo. La moneta falsa, tr. di G. Berto, Cortina, Milano, 1996.

[2] Decisivo e decidersi sono due parole imparentate.

[3] Cf. la riflessione di Derrida, che, a partire dall’espressione: «Perdono per non voler dire…», spiega il senso profondo della letteratura in rapporto alla tradizione biblica, come impossibilità di trasmettere un segreto e come continua richiesta di perdono per il tradimento. Questa frase («Perdono per non voler dire…») – afferma Derrida – «annuncia la letteratura», «per lo meno ciò che da alcuni secoli chiamiamo letteratura, ciò che si chiama letteratura in Europa, ma in una tradizione che non può non essere erede della Bibbia, poiché vi attinge il suo senso del perdono ma al contempo le chiede perdono del tradimento» (Donare la morte, intr. di S. Petrosino, postf. di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano, 1996, 2002, 160).

Di Fiore 2006

DI FIORE CALOGERO, Per me Dio non si arrende mai. Un cammino per i giovani, Calabria Letteraria Editrice, 2006

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Una scelta mistica prima che ascetica.

Di Dio ci si deve innamorare.

Questa generazione, diceva un giornalista descrivendo i giovanissimi, è la prima che ha passato il guado dai timorati di Dio agli innamorati di Dio. Allora occorre aiutarli a sentirsi sempre accolti da questo amore, a rispondere alla domanda: ma quanto mi ama Dio? Quanto ama un balordo come me?

La risposta è sempre: molto più di quanto possiamo immaginare.

(Dalla presentazione di Domenico Sigalini)

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Calogero Di Fiore (Palermo, 1967) è membro della Congregazione della Missione. Dottorando in Scienze dell’educazione con specializzazione in Pastorale Giovanile e Catechetica. Docente di catechetica fondamentale presso l’istituto Pio X di Catanzaro e di dinamica di gruppo presso l’ISSR di Donnaregina di Napoli.
E-mail: alba.nuova@email.it

Pisciotta 2006

PISCIOTTA FRANCESCO, Evangelizzare i poveri. L’impegno pastorale di Mons. Martino Orsino, Vescovo di Patti (1844-1860). Catechismo e preghiere in dialetto siciliano, Coop.S.Tom.-Elledici, 2006

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Coop.S.Tom., Messina 2006 – 17×12 cm; 527 p. – € 25,00 – ISBN 88-86212-33-X

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In tre volumetti indissociabili:

  1. Compendiu di la Duttrina Cristiana

  2. Lu Pani cutidianu di l’anima

  3. Diariu brevi pri li cristiani idioti – Appendici

Nel contesto della storia della chiesa locale di Patti (Sicilia), l’opera di Mons. Martino Orsino (vescovo dal 1844 al 1860), con il Catechismo e il prontuario delle preghiere del cristiano, merita un’attenzione particolare. Il suo impegno pastorale si distinse per l’attenzione ai poveri e per il desiderio di evangelizzarli.

A P. Pisciotta (Licenza in Teologia, Dottorato in Diritto Canonico, Laurea in Lettere Classiche) va riconosciuto il merito di aver posto l’attenzione su questo illustre vescovo dell’Ottocento e di aver riportato alla luce documenti altrimenti difficili da rintracciare.

Placida 2006

PLACIDA FLAVIO, Aspetti catechistico-liturgici dell’opera di Cromazio di Aquileia, Rubbettino, 2006

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Come è normale per una ricerca teologico-catechetica che voglia rispettare i moderni canoni della scientificità, questa mia opera come accennavo in precedenza, si avvantaggia di molte competenze e studi di navigati ed esperti teologi, catecheti e altri studiosi versati in più campi del sapere, i quali hanno messo e continuano a mettere a disposizione di chi ha fatto della teologia, per esigenze pastorali ed in vista della formazione e della salvezza delle anime, la sua ragione di vita. A tal proposito penso di poter dire che avendo attraversato in buona parte l’impervio mare delle numerose pubblicazioni, che periodicamente si succedono, tramite opere monografiche, articoli, raccolte ed altro, ho potuto avvalermi circa il nostro autore, di ciò che di più recente ed aggiornato si sia prodotto in materia. Questo senza pregiudicare pubblicazioni classiche la cui consultazione è stata e sarà sempre indispensabile. Tale dato se testimonia la validità bibliografica della mia ricerca, pone in evidenza anche una sua peculiarità: essa rappresenta un bilancio, un’ampia sintesi aggiornata del molto materiale prodotto sul vescovo di Aquileia, ma non manca di un approccio personale ed una rilettura dei testi che possa dare nell’attuale panorama teologico, in riferimento alla catechetica particolarmente, spunti nuovi per l’approfondimento sempre attuale nell’approccio al pensiero dei Padri della Chiesa.

Mi prefiggevo, e la progressiva lettura del vasto materiale esaminato mi ha confermato in questa intenzione, di far emergere l’attualità di questo pastore e del suo “modello” catechistico, certo che dalla Tradizione possono derivare suggerimenti sempre pertinenti alle difficoltà dei tempi che si vivono. Se il Vangelo è vino sempre nuovo da dover versare in otri sempre nuovi, è altrettanto vero che, circa l’essenzialità del messaggio della fede da annunciare e le più o meno grandi intuizioni teologiche da difendere, per una migliore inculturazione della verità della salvezza, questo “Maestro nella fede” appare tutt’ora di un insegnamento autorevole. Facendo estrema sintesi di quello che in questo mio lavoro vorrò provare, l’insegnamento principe che deriva dall’autorevole testimonianza di Cromazio è quello della santità della vita, e perciò dell’efficacia dell’azione pastorale. Egli fece suo il mistero che annunciò ed al cui servizio mise la propria vita.

Circa i limiti di questo mio lavoro è bene subito mettere in evidenza che, per ovvi motivi non ha potuto riprendere ed esaminare tutti gli ambiti in cui il pensiero del vescovo aquileiese si è mosso, spaziando su quegli orizzonti ampli a cui una fede veramente vissuta non può non aprire. Tuttavia vuole presentarsi come un proposta nuova di lettura dei dati disponibili, nella convinzione che il materiale studiato possa fornire al pastore e catecheta moderno uno stile di cui certo si potrà appropriare con grande beneficio. Al di là dei doni personali, che caratterizzarono irrepetibilmente la figura del nostro autore, la sua fu vera opera ecclesiale che seppe avvalersi, in piena sintonia con lo spirito di comunione, sovente oggi richiamato dal Concilio Vaticano II ai nostri giorni, dei molti doni che Pastori grandi quanto lui e più di lui per santità di vita e dottrina teologica, avevano profuso a vantaggio della Chiesa.

Circa la strutturazione del mio lavoro è bene che dia una giustificazione metodologica per una migliore comprensione della sua esposizione. Ciò che primariamente risulterà evidente sfogliando l’indice è una prima divisione in due parti che a partire da alcuni dati storici e bibliografici vuole introdurre progressivamente nel tema trattato, per giungere nella seconda parte, dove sistematicamente la tesi prende in esame il pensiero di Cromazio sotto cinque aspetti. Preciso subito che troverà sistemazione già nella prima parte una sintesi introduttiva della teologia cromaziana, che a mio avviso accompagnerà e faciliterà un successivo approfondimento nella parte sistematica.

Nella seconda parte il primo degli aspetti ad essere trattato, ed è il più corposo per l’importanza trasversale della materia trattata, è quello liturgico denso di spunti teologici e fonte preziosa oltre che via maestra per penetrare nell’universo teologico-catechetico cromaziano. Partendo dalla realtà liturgica della Chiesa aquileiese e considerando soprattutto i Sermoni pronunciati durante lo svolgersi dell’anno liturgico ho colto alcune sfumature che caratterizzano la catechesi del nostro autore, in vista di un autentico inserimento dei suoi fedeli nel mistero di Cristo e della Chiesa.

L’aspetto omiletico/catechetico analizza lo stile predicatorio di Cromazio. Esso, benché semplice e chiaro nell’espozizione, non prescinde dalle regole classiche della retorica antica. Attraverso l’uso di immagini, paragoni e simbologia numerica che applica e attualizza alla vita della sua comunità, vuole convincere il suo popolo che il mistero di Cristo e della Chiesa che egli annuncia non è estraneo alla loro vita.

L’aspetto ecclesiale, come gli altri aspetti considerati, appare dalle riflessioni teologiche che il nostro autore presenta durante la spiegazione della Parola di Dio. La Chiesa è il grande amore di Cromazio. Essa è il “frutto spontaneo” prodotto dalla redenzione operata da Cristo. La Chiesa è punto di arrivo e di partenza, inizio di un nuovo cammino di Dio con gli uomini.

Anche l’aspetto mariano occupa un posto di primaria importanza nella teologia di Cromazio. Nel mio lavoro si evince come, sottolineando l’importanza del ruolo di Maria nell’economia della salvezza, ella viene presentata come vergine, madre, sposa e in figura anche vedova. Inoltre attraverso il ricorso di immagini applicate a Maria il nostro autore vuole sottolineare gli aspetti unici e singolari della vita di Maria in relazione alla Trinità.

Nel capitolo che tratta l’aspetto ascetico si evidenziano le testimonianze più significative tratte dagli scritti di Cromazio sulla vita spirituale dei cristiani di Aquileia del IV sec., e come gli stessi più o meno, incarnavano i valori evangelici secondo il loro stato di vita.

Nella conclusione volendo rilevare come si attualizza il messaggio e la catechesi di Cromazio, maestro, pastore e catecheta, espongo come essa è sempre determinata dalle linee dominanti della sua biografia, del suo insegnamento e dal modo con cui esse si intersecano con la quotidianità complessa dei nostri giorni. Nel caso di Cromazio, ho voluto prima di tutto evidenziare alcuni aspetti fondamentali della sua catechesi catecumenale, partendo dall’analisi dei cosiddetti Sermoni quaresimali. Successivamente, alla luce di alcuni documenti offertici dell’episcopato italiano in questo ultimo decennio sull’Iniziazione cristiana dei fanciulli e degli adulti, evidenzio quanto, per le nostre comunità ecclesiali, sia ancora valido e salutare proporre una catechesi a modello catecumenale, senza ovviamente distogliere lo sguardo dalla ricca esperienza di coloro i quali sono stati gli “inventori” di questo itinerario di iniziazione.

Credo sia il caso di evidenziare un’ulteriore annotazione di carattere formale. Ho voluto, in modo intenzionale, offrire i testi dell’opera di Cromazio, come di altri autori cristiani da me citati, nella loro versione originale, in latino. Pur considerando il rischio di appesantire la lettura del testo mi è sembrato utile far risaltare e gustare la bellezza di questi capolavori, autentici e originali tesori della Tradizione ecclesiale.

In ultimo, seppur già qualcosa si è accennato, vorrei spendere qualche breve considerazione sulla specificità della mia ricerca. Il mio lavoro ha come mire precise, ispirandosi alla riscoperta dei Padri che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento teologico, quelle di:

Riproporre all’attenzione dei pastori e dei catechisti la figura e la catechesi del Vescovo aquileiese come vero pastore e catecheta. In un tempo in cui il recente Magistero mira con fermezza a recuperare una figura di pastore primariamente “annunciatore del Vangelo” (cf. Giovanni Paolo ii, Pastores gregis, Esortazione Apostolica post-sinodale, nn° 26, 31; Id., Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale di Francia in visita “ad limina Apostolorum”, n° 1, 20 Febbraio 2004, e i riferimenti magisteriali ivi citati), Cromazio si staglia all’orizzonte come persona profondamente immersa ed avvinta da questo ministero di annuncio della salvezza. In quanto successore degli Apostoli egli è testimone autorevole della Risurrezione di Cristo, e lo è per mezzo di una instancabile “attività” catechetica, volta alla spiegazione del mistero di Cristo, da lui definito “celeste mistero”.

Recuperare tratti essenziali e paradigmatici del suo insegnamento e della sua catechesi: piena fedeltà alla Tradizione ed all’insegnamento degli Apostoli, matrice ecclesiale della sua teologia, visione globale della fede della Chiesa ed al contempo appropriazione sintetica e personale dei dati della fede, tanto che non si troverà mai citato nei suoi testi l’opera di quei Padri di cui si è nutrito e che di certo ha presente.

Non bisognerà attendersi da lui novità né di contenuti, né d’impostazioni sul piano speculativo, ma le sue doti nell’assimilazione del depositum fidei e nella sua esposizione sono di eccezionale rilievo.

È inutile negare che la frequentazione di questo maestro, mi ha dato una fondamentale chiave di accesso per penetrare più profondamente il complesso e variegato mondo della teologia contemporanea; nello stesso tempo mi ha anche consentito l’acquisizione di una familiarità più grande con i Padri, vero coronamento di una ricerca teologica, al fine di assimilarne lo spirito.

Alla scuola di Cromazio mi sono confermato nella convinzione che gli studi patristici non possono fare a meno di una solida conoscenza della storia della Chiesa, che rende possibile una visione unitaria dei problemi, degli avvenimenti, delle esperienze, delle acquisizioni dottrinali, spirituali, pastorali e sociali delle varie epoche. In tal modo mi sono reso conto del fatto che il pensiero cristiano, se comincia con i Padri, non finisce con loro. Esso, infatti, mai appare come un inutile archeologismo, ma come uno studio creativo che aiuta a conoscere meglio i nostri tempi ed a preparare quelli futuri.

Romano 2006

ROMANO ANTONINO, Les catéchistes á Madagascar. Rapport sur la formation et la vie des Catéchistes (Enquête 2004-2006), Coop.S.Tommaso, 2006

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Collana:  “Laboratorio Giovani. Indagini e Ricerche”  3 – Coop.S.Tom., Messina 2006 – 21×15 cm; 175 p. – € 15,00 – ISBN 88-86212-35-6

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La ricerca sull’essere e la missione dei Catechisti in Madagascar è stata sostenuta da un’ipotesi generale: i Catechsiti sono stati, per la loro formazione, l’esperienza didattica e la loro re-interpretazione dell’annuncio della Rivelazione, i veri autori principali del processo di inculturazione della fede cattolica in Madagascar.

INDICE

Introduzione

Cap. 1: Il ritratto storico dei Catechisti malgasci

Cap. 2: Scopi, ipotesti e itinerari della ricerca

Cap. 3: È cambiato il volto attuale dei Catechisti malgasci?

Cap. 4: Cambiamenti nella formazioen spirituale e nelle competenze di base dei Catechisti

Cap. 5: Cambiamenti nelle funzioni ministeriali

Conclusioni e rilancio dei problemi

Bibliografia

Testo dei Questionario in lingua malgascia

Testo del Questionario in lingua francese

Glossario